Il mondo piange Francesco. Il Papa che ha abbracciato gli ultimi ci lascia una Chiesa più povera, più vera, più viva
Il mondo si sveglia più silenzioso, come se anche il cielo, sopra Piazza San Pietro, si fosse inchinato alla grandezza umile di un uomo. Papa Francesco non è più tra noi. Eppure, in qualche modo, ci resta accanto.
Se ne va non solo un Pontefice, ma una voce che per dodici anni ha sussurrato, gridato, talvolta pianto insieme a noi. Jorge Mario Bergoglio era diverso. Non aveva il passo dei principi né l’eloquio dei diplomatici. Parlava come un padre, come un amico, come chi sa che la verità non si impone: si offre.
Quando nel 2013 si affacciò per la prima volta dalla Loggia delle Benedizioni, non benedisse subito il mondo. Chiese, invece, che il mondo benedicesse lui. Un gesto semplice, ma rivoluzionario: come se dicesse che anche il Papa è un uomo in cammino, fragile e bisognoso di amore.
Il Papa che ha scelto la strada
Francesco è stato il Papa della misericordia, sì. Ma anche della strada. Era il Papa che abbracciava gli ultimi senza mediazioni, che baciava le piaghe dei malati, che si inginocchiava davanti ai migranti. Il Papa che ripeteva: “Dio non si stanca di perdonare. Siamo noi che ci stanchiamo di chiedere perdono.”
Ha scompaginato le abitudini, ha scandalizzato chi voleva una Chiesa fortezza, chiusa nella sua perfezione, immobile nella sua sicurezza. E ha restituito al Vangelo il suo volto più vero: quello di chi accoglie, di chi cammina accanto, di chi costruisce ponti.
Una carezza nel tempo della durezza
Francesco ci ha insegnato che la tenerezza non è debolezza, ma forza invincibile. In un mondo sempre più arrabbiato, più veloce, più cinico, lui ha avuto il coraggio di parlare di carezze, di ascolto, di lacrime. Ha mostrato che il potere autentico non è comandare, ma servire.
Tra i tanti momenti che hanno segnato il suo pontificato, resta indimenticabile l’incontro con i poliziotti italiani ricevuti in Vaticano. In quell’occasione, Francesco li aveva ringraziati non solo per il servizio d’ordine, ma per essere “seminatori di pace” nella vita quotidiana. Li aveva esortati a proteggere i più fragili con fermezza e umanità, ricordando che anche nell’applicare la legge non bisogna mai perdere il volto della misericordia. Era il suo modo di guardare tutti, anche chi indossa una divisa, come fratelli in cammino.
Ora che la sua voce si è spenta
Sabato 26 aprile, Francesco sarà salutato da una Piazza San Pietro che sarà certamente gremita. Non ci saranno solo cardinali e capi di Stato. Ci saranno i poveri, i migranti, le vittime dimenticate delle guerre, quelli che lui chiamava “i crocifissi della storia”. Saranno loro, soprattutto, a piangere un padre che non li ha mai abbandonati.
Eppure, chi conosceva Francesco sa che lui non avrebbe voluto una Chiesa in lutto troppo a lungo. Non amava i formalismi. Avrebbe chiesto di continuare a costruire speranza, anche nel buio.
“Pregate per me” aveva chiesto appena eletto. E ora tocca a noi: pregare, certo. Ma soprattutto vivere ciò che lui ha testimoniato. Avere il coraggio della bontà. Difendere i piccoli. Non avere paura della misericordia.
Se n’è andato il Papa del sorriso lieve e delle parole potenti. Resta il suo sogno: una Chiesa che somigli sempre di più al Vangelo. Resta il suo invito: camminare insieme, sempre, come fratelli.
Buon viaggio, Francesco. Continua a camminare accanto a noi.